I driver della Moda Sostenibile

I driver della Moda Sostenibile

Negli ultimi anni il fashion sostenibile sta guadagnando mercato, offrendo soluzioni per ridurre il suo impatto sull’ambiente. Descriviamo qui i fattori materiali e ideali che guidano i principali processi di trasformazione e innovazione delle aziende della moda verso una produzione sostenibile:

 

1. Consumo energetico ridotto: i brand della moda sostenibile spesso danno priorità alle pratiche di efficienza energetica nei loro processi produttivi. Possono utilizzare fonti di energia rinnovabile, implementare tecnologie di risparmio energetico o optare per la produzione locale per ridurre al minimo il consumo energetico legato ai trasporti. L’Unione Europea negli ultimi anni sta incentivando notevolmente il risparmio energetico delle imprese, offrendo aiuti all’innovazione come la Transizione 5.0.

2. Impronta di carbonio ridotta: l’industria della moda è nota per le sue significative emissioni di carbonio. La moda sostenibile si concentra su materiali ecologici, pratiche di produzione etiche e riduzione delle emissioni relative ai trasporti e all’uso dell’energia. Le aziende investono in sistemi di tracciabilità e blockchain per effettuare misurazioni accurate e poter quindi minimizzare le emissioni ed al contempo i costi.

3. Conservazione dell’acqua: la produzione tradizionale della moda (in particolare relativamente ad alcune materie prime molto diffuse, come il cotone) richiede grandi quantità di acqua, con conseguente inquinamento e impatto sulla scarsità di risorse idriche. La moda sostenibile promuove pratiche di risparmio idrico, come tecniche di tintura innovative, riciclaggio dell’acqua nei processi produttivi e scelta alternativa di materie prime.

4. Riduzione dei rifiuti: il fast fashion ha alimentato la cultura dell’abbigliamento usa e getta, provocando discariche stracolme e degrado ambientale. La moda sostenibile incoraggia il passaggio a un’economia circolare, in cui gli abiti sono progettati per durare più a lungo e i materiali vengono rivenduti o riciclati. Altre soluzioni già implementate da alcuni produttori sono ad esempio quelle relative a tessuti biodegradabili.

5. Sostituzione delle sostanze inquinanti: grazie alle numerose attività di ricerca e sviluppo effettuate dalle imprese più lungimiranti e innovative, accompagnate naturalmente da normative sempre più stringenti ormai diffuse in tutto il mondo (sebbene spesso diverse nei vari continenti, e non armonizzate), le sostanze inquinanti usate nella manifattura sono sostituite da elementi organici o da tecniche di produzione alternative, per esempio mediante uso di nanotecnologie. Tessuti tinti mediante coloranti naturali sono sempre più diffusi nel mondo del fashion.

6. Commercio equo e pratiche etiche: la moda sostenibile dà priorità al commercio equo e alle pratiche etiche, garantendo che i lavoratori ricevano salari equi e condizioni di lavoro sicure. Le imprese possono ottenere delle certificazioni e/o richiedere che i loro fornitori siano a loro volta certificati, in modo da non rendersi partecipi, anche involontariamente, di sfruttamento.

7. Preservazione della biodiversità: la moda sostenibile promuove l’uso di metodi di agricoltura biologica e rigenerante, riducendo la dipendenza da materiali sintetici derivati ​​da combustibili fossili. Scegliendo indumenti realizzati in cotone biologico o altri materiali sostenibili (lana, lino) si aiuta a proteggere la biodiversità e gli ecosistemi.

8. Economia circolare: la moda sostenibile incoraggia soluzioni di design innovative e approcci creativi alla moda. I designer spesso sperimentano il riutilizzo, la reinvenzione dei materiali o il riciclaggio alla fine del loro ciclo di vita, dando vita a pezzi di moda unici e irripetibili. Indicativa è la crescita negli ultimi tempi di portali web e app dedicati al commercio elettronico di indumenti usati.

Cenni di gestione del Fake

Cenni di gestione del Fake

I falsi sono dei prodotti di qualità inferiore all’originale, che lo imitano in un modo più o meno evidente. Tali prodotti vengono venduti all’insaputa dell’azienda proprietaria di quel predetto marchio, con azione illecita che viola le norme in materia di brevetto, copyright e leggi sul marchio registrato. La maggior parte delle fabbriche di vestiti contraffatti sorge nei paesi in via di sviluppo, e in una percentuale tra l’85% e il 95% di tutte le contraffazioni proviene dalla Cina.

I motivi che portano comunque al commercio di capi contraffatti sono principalmente i seguenti:

  • La Gen Z predilige la moda come categoria di intrattenimento su cui davvero vale la pena spendere, si pensa che sia moralmente accettabile acquistare e utilizzare beni di lusso falsi.
  • La dinamica del fast fashion ha enormemente contribuito a creare la mentalità del “poco valore” e dell’acquisto d’impulso, aumentando sempre più il fenomeno dell’usa e getta legittimando la pratica dell’acquisto di pezzi contraffatti, che proprio perché non di marca, possono avere un ciclo di vita breve come le preferenze dettate dalla moda.

Il mercato del fake dilaga ogni giorno di più e rappresenta una piaga che penalizza fortemente i marchi luxury e high-end streetwear. Ad esempio, Nike è l’azienda più contraffatta al mondo, mentre sembra che Rolex sia il marchio più ricercato da tutti a livello di contraffazione, con ben 228.000 ricerche annuali per “fake Rolex”.

I brand per cercare di contrastare le operazioni dei falsi e per certificare l’originalità del prodotto grazie all’intelligenza artificiale hanno adottato alcune soluzioni, quali ad esempio:

  • RFID: inserimento di tag posizionati all’interno o nell’ etichetta del prodotto finito, ha come obiettivo quello di garantire l’autenticità dei prodotti del brand e combattere quindi l’anticontraffazione. L’RFID è la tecnologia di identificazione automatica via radio che consente di rilevare e tracciare oggetti a cui sia applicato un TAG. Al suo interno è contenuto un codice che identifica in maniera univoca l’autenticità di quel prodotto.
  • Certilogo: inserimento nei capi di una speciale etichetta con QR code e un Codice numerico a 12 cifre che costituisce l’identità digitale del prodotto. Il cliente con il proprio Smartphone inquadra l’etichetta dove è stampato un QR code univoco irriproducibile dal mercato del falso. In alternativa, si può anche entrare nel sito Certilogo e digitare il codice di 12 cifre manualmente.
  • Entrupy: l’app ha come obiettivo fondamentale riconoscere gli accessori falsi ed offrire supporto sia per le aziende che per i consumatori. L’apparato grazie allo zoom ottico amplifica fino a 260 volte le immagini e scruta ciò che non potrebbe essere visto dall’occhio umano, dove gli algoritmi assegneranno un punteggio all’elemento come autentico o non verificato in base alle immagini inviate.

Allo stesso modo anche i consumatori, per essere sicuri di compare un capo originale, devono prestare attenzione ai seguenti elementi:

  1. Imballaggio fragile o assente: Il packaging dei prodotti griffati sono generalmente di alto valore ed esteticamente belli
  2. Scarsa qualità dei prodotti e accessori mancanti
  3. Prezzo di Vendita: se un capo ha un prezzo stracciato è possibile che non sia originale
  4. Esaminare le Cuciture
  5. Colla e chiusure
  6. L’etichetta
  7. Errori grammaticali
  8. Loghi difettosi

La contraffazione dei prodotti di lusso resta una problematica importante e molto attuale che non è da sottovalutare. Gli strumenti per combattere il fake ci sono, si tratta di adattarli ad un mercato in continua evoluzione.

Cos’è il Co-branding?

Cos’è il Co-branding?

L’avvento della tecnologia, dei nuovi mezzi di comunicazione ed il processo di globalizzazione hanno determinato il sorgere di un nuovo scenario competitivo tra le diverse aziende, alimentando, in un certo senso il fenomeno del co-branding.

Il co-branding è di fatto una collaborazione temporanea tra più brand, tesa a lanciare un prodotto figlio di questa unione. Si tratta di realtà già conosciute e riconoscibili dal pubblico, che possono così comunicare senza influenzare l’identità di marca. È caratterizzato da una prima marca definita ospitante o accogliente; mentre l’altro brand viene chiamato invitato o secondario. Tale contratto è caratterizzato da una significativa area di rischio, coinvolgendo elementi sensibili dell’impresa.

È possibile distinguere diverse tipologie di co-branding: funzionale e simbolico, esclusivo e non esclusivo. Il co-branding funzionale prevede l’indicazione sul prodotto di due o più marchi utilizzati nella realizzazione del prodotto medesimo. L’impresa titolare del brand ospitante stipula un contratto con un partner avente lo scopo di far figurare sul prodotto, un marchio esterno alla categoria in cui il prodotto stesso si trova. Il product base co-branding costituisce una forma più intensa di collaborazione tra i due o più brand.  I due o più marchi vengono combinati, creando un unico prodotto distintivo.

Nel mondo della moda l’attività di co-branding è sempre più comune soprattutto per aumentare l’audience, essere più creativi e rinnovare il brand dandogli un apporto sempre più innovativo e al passo con i tempi. Alcuni esempi di co-branding che hanno avuto successo nell’ultimo periodo sono i seguenti:

  • Diesel x Diesel: fake smile: Nel 2021 il brand propone una capsule collection composta da 24 capi iconici rubati dall’archivio del brand e riadattati allo stile e alle esigenze dell’epoca attuale per creare un collegamento tra il passato e presente. A celebrare questa collezione la campagna “Fake Smiles” dove per fake si intende “esagerazione”, con un taglio di ironia la capsule rappresenta una frecciatina alle mille collaborazioni che dominano l’industria della moda. Collaborando con se stessa, Diesel X Diesel rievoca non solo un sentimento nostalgico della propria Heritage passata ma rileva anche la propria capacità di far leva sul suo stesso marrchio creando un prodotto che nella mente del consumatore, proprio per la strategia controtendenza, si posiziona al di sopra delle usuali collaborazioni ricercate dagli altri brand.
  • Supreme x Luis Vuitton: La collaborazione tra Louis Vuitton e Supreme è stata una delle partnership più sorprendenti e influenti nel mondo della moda di lusso. La notizia ha generato un’enorme attesa e ha suscitato un grande interesse da parte degli appassionati di moda e degli amanti dello streetwear. La collaborazione ha presentato una vasta gamma di prodotti, tra cui borse, accessori, abbigliamento e scarpe. I classici motivi del monogramma di Louis Vuitton sono stati combinati con il logo iconico di Supreme, creando un’estetica unica che ha reso riconoscibili i prodotti della collaborazione. La collezione è stata distribuita in modo molto esclusivo. Inizialmente, è stata disponibile solo in selezionate boutique Louis Vuitton e presso alcuni pop-up store temporanei. Questa strategia di distribuzione limitata ha contribuito ad accrescere l’aspettativa e la richiesta dei prodotti.

Il contratto di co-branding, nella maggior parte dei casi, rappresenta una strategia di marketing vincente, che consente alle aziende la possibilità di creare, attraverso la fusione dei loro marchi, un’esperienza unica nel mercato. Nella società attuale, caratterizzata da una competitività sempre più spinta, il contratto di co-branding rappresenta senz’altro una soluzione sempre più utilizzata e scelta per la sua estrema duttilità anche in considerazione della reale capacità di “attrarre” nuova clientela e giungere con estrema efficacia e con maggiore impatto nel mercato del fashion.

NFT nel settore Moda

NFT nel settore Moda

Negli ultimi anni ha preso piede un nuovo formato di file digitali che promette di rivoluzionare il modo in cui gli oggetti possono essere posseduti, acquistati e venduti su Internet: i “token non fungibili”, o NFT.

NFT, infatti, sta ad indicare un non-fungible-token (token non fungibile). Gli NFT sono definiti anche “gettoni crittografici”, ossia dei sistemi che permettono di certificare la rarità digitale di un bene. Un’opera d’arte, un video, perfino un tweet, il tutto basato sulle blockchain. I “gettoni” hanno la caratteristica peculiare di essere unici e non possono essere scambiati con un altri token identici. Questo accade perché ogni token non fungibile viene creato con un codice interno univoco scritto appunto su blockchain. Il valore degli NFT viene stabilito principalmente dal mercato e dalla domanda, rendendoli paragonabili a qualsiasi altro tipo di opera d’arte, in questo caso arte digitale. Possono certificare un qualsiasi “oggetto”, fisico o virtuale che esso sia. Chi compra un NFT che corrisponde ad un’opera artistica digitale, possiede soltanto il certificato, ciò non significa che l’opera in questione diventi privata ma, al contrario, può tranquillamente restare on line e accessibile a tutti. Il valore degli NFT è legato ad un certificato di proprietà unico e si basa sulla tracciabilità del proprietario, del creatore, su date e storico delle transazioni.​

Per la “fabbricazione” degli NFT, infatti, occorre una gigantesca potenza di calcolo e ha le sue radici in numerose strutture (server farm) sparse nel mondo intero. È il principio su cui si basa anche la nascita di criptovalute. Il punto di partenza per la creazione digitale di un NFT è la produzione in una versione digitale dell’opera d’arte che, nel linguaggio informatico, è definita da una sequenza di cifre binarie. Questa sequenza viene compressa in un’altra sequenza chiamata “hash” (impronta digitale) che identifica in modo univoco e non violabile quel file: il processo di hashing rende impossibile ricostruire il documento digitale originario. Per la maggior parte degli NFT occorre aprire un wallet digitale all’interno del quale depositare e conservare le criptovalute necessarie per le transazioni. Una volta creato il proprio wallet contenente le criptovalute è necessario scegliere il marketplace (il negozio virtuale) dove acquistare o vendere NFT. Se l’NFT ha un costo molto economico o è gratuito è probabile che venga applicata una tassa variabile da pagare (gas fee). All’interno dei marketplace appaiono gli NFT disponibili. Gli acquirenti interessati possono fare delle offerte in asta, al termine della quale il venditore riceve un avviso con le migliori offerte degli acquirenti. Accettata l’offerta, la piattaforma gestisce il trasferimento di fondi del bene digitale concludendo il processo di vendita.

Un settore che molto si sta muovendo sfruttando gli NFT è quello della moda. Nel concreto, si stanno sviluppando due approcci a questa tecnologia. Un approccio più «classico» alla tecnologia prevede che tramite gli NFT, i clienti possano acquistare collezioni esclusive che poi ricevono a casa. La tecnologia NFT viene usata quindi solo come mezzo nel pagamento e per assicurarsi il diritto di proprietà sull’acquisto. Ben più scalpore ha fatto però l’approccio fully digital: in questo caso l’abito viene indossato da un avatar nel metaverso o in un videogioco. È il caso ad esempio della collaborazione fra Balenciaga e Fortnite.

La moda digitale ha trovato il suo apice nel metaverso. Con le previsioni degli esperti, secondo cui entro il 2026 ogni persona passerà almeno un giorno nel metaverso, i grandi marchi della moda hanno finanziato progetti nel mondo digitale, arrivando perfino ad organizzare la Metaverse Fashion Week, giunta lo scorso marzo alla seconda edizione.

Sistemi di tracciabilità nella filiera della Moda

Sistemi di tracciabilità nella filiera della Moda

Per il settore della moda il focus è e sarà sempre più indirizzato sul percorso di sviluppo sostenibile verso le nuove logiche ESG e verso una supply chain sempre più trasparente e tracciabile. In questo contesto sono l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione a giocare un ruolo fondamentale nel monitoraggio e nel controllo degli attori della filiera produttiva. “Sostenibile” è una qualsivoglia azione che, compiutasi nel presente, non preclude in alcun modo lo svolgimento della medesima nel futuro. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, l’industria della moda produce dall’8% al 10% di tutte le emissioni globali di CO2, ovvero tra i 4 e 5 miliardi di tonnellate di anidride carbonica immesse nell’ atmosfera ogni anno. Si stima che ogni anno ben l’85% dei tessili prodotti finisca in discarica.

Prerequisito essenziale: la tracciabilità, cioè la possibilità di sapere come, dove e quanto si inquina. In particolare l’Unione Europea vuole introdurre strumenti obbligatori o volontari che hanno l’obiettivo di standardizzare la misurazione della sostenibilità di imprese e prodotti. Strumenti che cercano sempre più di aumentare il livello di trasparenza dei brand e di responsabilizzarli.

Analizziamo i principali metodi per il tracciamento della sostenibilità nel settore della moda:

  • L’Higg Index è un tool di strumenti di misurazione per i settori tessile, dell’abbigliamento e delle calzature sviluppato da Sustainable Apparel Coalition, per misurare gli impatti sociali e ambientali. Si suddivide in tre categorie:
    • Higg Product Tools, che valuta quali strumenti sono utilizzati durante la progettazione di un prodotto per stimarne l’impatto una volta realizzato;
    • Higg Facility Tools, con i quali le aziende misurano le prestazioni sociali e ambientali delle loro strutture per migliorare gli impatti generati durante la produzione;
    • Higg Brand & Retail Module(Higg BRM), utilizzati dai brand per misurare gli impatti ambientali e sociali delle loro operazioni e apportare i necessari miglioramenti;
  • Il Passaporto digitale dei prodotti (DPP), la cui piena operatività è prevista a partire dal 2024. Il Passaporto Digitale dei Prodotti (Digital Product Passport) fornirà informazioni sulla sostenibilità ambientale degli articoli in commercio. Ogni capo di abbigliamento avrà un suo passaporto digitale che racconta a chi lo consulta da dove viene, che strada ha fatto per arrivare dov’è, chi lo ha costruito e disegnato, quali componenti lo compongono, dove e da chi sono stati prodotti. Inoltre faciliterà le riparazioni e il riciclo incentivando la trasparenza in relazione al loro impatto ambientale;
  • La tecnologia RFID (Radio Frequency IDentification) è un sistema di comunicazione wireless. Il fine è quello di ottenere dati che, una volta elaborati da sistemi di gestione, sono in grado di restituire informazioni e analisi in merito alla tracciabilità, alle scorte in magazzino e alla pianificazione aziendale. Si compone di quattro elementi fondamentali: Tag, Antenna, Lettori, Sistema di Gestione;
  • La Blockchain s’intende un database condiviso che permette di immagazzinare dati e registrare transazioni in modo verificabile e permanente creando un contesto di fiducia anche fra attori sconosciuti. Ha le seguenti caratteristiche principali: immutabilità, struttura decentralizzata e consenso. Il consumatore finale tramite la scannerizzazione del QR Code apposto sull’etichetta di un articolo potrà immergersi nella storia del prodotto.

Tuttavia, queste nuove sfide richiederanno in ultima analisi la partecipazione di tutti gli agenti coinvolti nella catena del valore del prodotto. L’introduzione delle nuove tecnologie per il tracciamento digitale nella filiera della moda rappresenta un mix di sfide ed opportunità, con cui ogni brand deve interfacciarsi per direzionarle a proprio favore, con uno sguardo agli impatti in termini di avanzamento sostenibile. L’innovazione nel settore fashion non è fatta solo di ologrammi e sfilate 3D.