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Gestire l’eredità culturale d’impresa con gli Archivi Digitali

Negli ultimi anni si registra un crescente interesse ed una nutrita letteratura specialistica riguardo alla gestione delle informazioni relative alla preservazione dell’eredità culturale d’impresa, specialmente nei settori in cui questo tema è maggiormente sentito (brand e marchi storici, manifattura di alta qualità, prodotti artistici o legati al mondo della creatività, della moda e del fashion). L’eredità culturale può essere definita come il retaggio di artefatti tangibili o intangibili relativi ad un gruppo sociale, che viene tramandato dalle generazioni del passato a quelle di oggi; non solo una questione di prodotto, quindi, ma anche di tradizioni estetiche e di gusto in senso lato, di progetti e ricette, di pubblicità e slogan, di mode e tendenze storiche.

In questo senso si è mossa anche l’Unione Europea, attivando nel recente passato un gran numero di progetti su larga scala per intervenire sugli aspetti della cultura storica d’impresa e per incentivare le aziende del vecchio continente ad interessarsi ed a sviluppare questa tematica all’interno della propria realtà di lavoro specifica, e cercando così di calare i princìpi teorici dell’eredità culturale in attività concrete per creare valore (si pensi, a titolo esemplificativo, ad iniziative come Europeana, C.h.e.s.s., Emotive Project, Cross-cult ecc.). L’Italia, a livello nazionale ma soprattutto tramite progetti e bandi regionali, si è presto allineata a queste direttive, creando opportunità per la realizzazione di lavori sulla cultural heritage delle imprese, anche mediante finanziamenti ad-hoc.

In tale contesto, uno dei principali punti di attenzione è costituito senza dubbio dalle innovazioni tecnologiche in campo digital, in grado di creare sinergia tra le componenti di know-how tradizionale, archivi fisici storici e nuove modalità di fruizione di contenuti, sia a livello di marketing che di processi produttivi, sia all’interno che all’esterno del perimetro d’azienda. Database, cloud, automazioni, applicazioni informatiche di ultima generazione e soprattutto strumenti per la gestione delle informazioni e degli asset digitali (chiamati DAM, ovvero Digital Asset Management) sono oggi ad un livello tale da permettere un profondo sfruttamento di ogni tipo di istanza storico-culturale anche per singole realtà imprenditoriali che ritenessero utile valorizzare la propria eredità peculiare.

Com’è intuibile, al centro di queste attività si inserisce il tema degli Archivi Digitali: la situazione di avere un archivio di materiale storico da censire, poter ritrovare e sfruttare è tipica di ogni impresa che porti con sè un bagaglio culturale che può identificarne il marchio, plasmarne la percezione all’esterno e testimoniare una tradizione di eccellenza; molto spesso ciò prende il via a partire dalla presenza di un magazzino contenente oggetti storici (vecchi prodotti, manufatti, semilavorati, ma anche progetti, documentazione tecnica e amministrativa, fatture o addirittura semplici fotografie, riviste, brochure e pubblicità) che vanno digitalizzati.

Questo genere di progettualità per la valorizzazione dell’eredità culturale necessita, oltre ad una decisa spinta a livello dirigenziale (il tema è sempre più avvertito come importante anche in realtà medio-piccole), anche la partecipazione di figure competenti interne ed esterne all’azienda, impegnate il più delle volte a livello interdisciplinare, nonché di strumenti tecnologici e informatici adeguati. Collaborano così in un frame di lavoro esperti di gestione delle informazioni, archivisti, specialisti di nuove tecnologie, tecnici di settore e addetti al marketing ed al customer service.

Si tratta quindi di progetti complessi dal punto di vista dell’organizzazione dei lavori, sovente continuativi nel tempo (un archivio digitale acquisisce valore se mantenuto ed aggiornato, e non dovrebbe mai essere considerato un’attività una-tantum), che hanno però le potenzialità per essere sfruttati anche nel futuro, soprattutto in epoca di dominio dei media e delle comunicazioni, configurandosi così come investimenti vincenti nel medio termine.

Le opportunità non mancano: al business che guarda lontano non rimane che coglierle per perseguire i propri obiettivi strategici in ambito digitale.

Le conseguenze organizzative del Big Data management

Un recente passaggio evolutivo nell’applicazione delle tecnologie digitali nelle imprese italiane è stato quello relativo all’implementazione di infrastrutture e servizi cloud, che ha determinato e determina un certo cambiamento nei processi interni alle aziende. Questo genere di evoluzione tecnologica è tuttora in corso, guidata non solo dall’emergere di soluzioni web-based per le imprese, ma anche da nuovi abilitatori digitali decisamente pervasivi ed efficaci quali IoT (Internet-of-things), intelligenza artificiale e machine learning, o reti mobili di ultima generazione come il 5G.

Tutte queste tecnologie hanno in comune la creazione e l’utilizzo di una immensa mole di dati, cosa che ha generato la conseguente necessità di gestirli ed analizzarli, unitamente ad altre spinte di natura principalmente normativa (si pensi al GDPR sulla gestione della privacy e dei dati personali in vigore da qualche anno in Europa), mediante tecniche di Big Data management.

Le aziende si sono presto trovate quindi nella necessità di effettuare delle scelte per adeguarsi al cambiamento tecnologico, ed ognuna di esse sta avendo il suo riverbero nella conduzione dei processi aziendali e nell’organizzazione dell’impresa in senso sia strategico che operativo. Ad esempio, a livello direzionale, le realtà di mercato più all’avanguardia hanno iniziato da tempo ad adottare strategie di change management adatte all’implementazione ed allo sfruttamento dei nuovi paradigmi tecnologici (Digital Strategy). A livello operativo, molte imprese si sono attivate in vari modi per assorbire le competenze tecniche specifiche, sia mediante formazione che mediante reperimento sul mercato di figure professionali, per poter utilizzare al meglio gli strumenti innovativi di cui si stanno dotando seguendo l’evoluzione delle infrastrutture informatiche. Tale evoluzione procede velocemente ed è molto complesso anticipare i tempi prevedendone gli sviluppi concreti, tuttavia emergono alcuni elementi che sembrano fornire delle indicazioni chiare, almeno su di un piano sufficientemente generale: si va verso l’integrazione (ad esempio l’integrazione dei dati sul comportamento dei clienti con le attività di marketing e di customer service, dei dati di lavorazione dei macchinari e del reparto produttivo con la gestione della qualità del prodotto e della manutenzione predittiva, delle informazioni di mercato con le strategie di vendita, dei dati di produttività con la gestione delle risorse umane, eccetera) e ciò porta ad interpretare l’azienda come un anello di una supply-chain di dimensioni più ampie.

Questo si riflette direttamente sulla capacità di controllo e di analisi dei dati (Analytics e BI), il che espande il tema dei Big Data ben oltre il perimetro della singola impresa classica, coinvolgendo non solo, com’è ovvio, clienti e fornitori nelle loro attività tipiche di vendita e di acquisto, ma l’intera filiera del valore comprensiva delle tendenze comportamentali e sociali di tutti gli attori in gioco, interpretata a partire dall’utilizzo di tutti gli strumenti innovativi generatori effettivi di dati (ad oggi i dispositivi mobili hanno raggiunto un livello di pervasività totale anche in ambito lavorativo in ogni reparto, e le applicazioni software sono decisamente più determinanti delle soluzioni hardware).

Come si può facilmente comprendere, un tale sforzo di innovazione continua pretende altrettali impegni di riorganizzazione aziendale con un conseguente (e pesante) adeguamento dei processi, nonché l’eventuale implementazione di nuovi processi che possano rispondere alle emergenti esigenze di gestione – in particolare dei Big Data e delle modalità di loro interpretazione a fini imprenditoriali.

Il mercato dei prodotti informatici e dei servizi per la gestione di una grande mole di dati è in ascesa, ed ha superato da poco, in Italia, il miliardo di euro. Accedervi senza adeguati progetti di innovazione organizzativa potrebbe rivelarsi un boomerang.

Il nostro Team Building: giornata di rafting

MAS Team BuildingLa creazione di un buon team di lavoro è fondamentale per tutte le aziende, ma per le società di consulenza si tratta di una sfida ancor più impegnativa, dove le attività di team building possono sopperire agli impedimenti della quotidianità. Come consulenti in ambito aziendale/gestionale/direzionale, si lavora sovente per progetti, di solito più d’uno contemporaneamente, dovendosi relazionare di volta in volta con soggetti differenti, collaboratori, manager, recandosi in luoghi diversi e facendo parte di numerosi team di lavoro. Operando in diverse città d’Italia, spesso anche la conoscenza dei propri colleghi è giocoforza superficiale e talvolta addirittura solo virtuale. Certo, le nuove tecnologie oggi aiutano molto l’interazione, ma come tener saldi i rapporti interpersonali all’interno di attività così mutevoli, variegate e frammentate? Come abituarsi ad ottimizzare il lavoro di gruppo in maniera solida, efficace e consistente?

MAS raftingCi vengono in soccorso le attività di team building! Genericamente usato nell’ambito delle risorse umane, team building è un temine che racchiude un insieme di attività formative, variamente declinate come team game, team experience, team wellbeing, il cui scopo è sedimentare rapporti di collaborazione, conoscenza reciproca, fiducia e lavoro di squadra all’interno di un gruppo di persone (in questo caso, colleghi). I partecipanti vengono immersi in un ambiente comune, spesso con degli obiettivi da raggiungere collettivamente, e incaricati di svolgere delle attività divertenti da cui emergono però valori condivisi, aiuto reciproco, collaborazione, caratteristiche di leadership e si cementano le relazioni sociali. Scopo finale: migliorare ed aumentare le performance del team nel contesto lavorativo, mediante delle prove svolte in altro contesto più informale e privo delle consuetudini tipiche della quotidianità nel posto di lavoro.

MAS divingNoi di MAS Management Network abbiamo deciso di optare per il rafting. Si tratta di un’attività di team building outdoor, costituita da esercizi e attività ludiche di squadra, che consiste nel navigare un corso d’acqua con un gommone (nel nostro caso in gruppi di 5 o 6 persone), affrontando tutte le difficoltà di una discesa acquatica, come brevi rapide o percorsi ad ostacoli, seppure in ambiente “controllato” e, ovviamente, con la presenza di guide esperte. Per rendere il percorso ancora più interessante ed introdurre delle tappe intermedie da raggiungere sia singolarmente che collettivamente, abbiamo deciso nella stessa giornata di cimentarci anche in altre prove correlate al rafting in ambiente fluviale, come il nuoto nella corrente o i tuffi da altezza variabile. A permetterci questa esperienza sono state le strutture specializzate presenti nel gradevole ambiente naturale della Valbrenta (per l’occasione ringraziamo IvanTeam), laddove tra i paesi di Valstagna e Solagna (VI) da decenni si praticano gli sport acquatici sul fiume Brenta.

MAS raftingAffrontare tutti assieme la discesa, peraltro divisi in gruppi per aggiungere un minimo di competitività tra i partecipanti, richiede concentrazione, coordinamento e un forte affiatamento per raggiungere l’obiettivo. L’esperienza del rafting è di forte impatto emotivo, aggrega il gruppo nelle difficoltà ed è un’opportunità di sperimentare la gestione del rischio e dell’incertezza anche in un contesto, in definitiva, prettamente ludico. Essa contribuisce a cementare lo spirito di gruppo nell’affrontare sfide e difficoltà concrete, partendo da una situazione reale a contatto con la natura. Infine, come da copione per ogni giornata di team building che possa definirsi tale, deve seguire un momento di riflessione, chiamato in gergo debriefing, in cui si raccolgono le sensazioni vissute nella prova e si fa mente locale sulle relazioni intercorse coi colleghi al’interno del team: ciò aiuta gli individui a collegare l’esperienza con la propria realtà aziendale ed a riportare il medesimo affiatamento anche in situazioni meno avventurose.

In definitiva, si è trattato di una giornata all’aria aperta in cui i consulenti MAS hanno imparato a conoscersi meglio e a lavorare in gruppo in modo più unito e proficuo.

Il vero costo dell’innovazione 4.0

L’innovazione 4.0 è la corsa all’oro degli ultimi anni, con le aziende che cercano i software e le tecnologie più recenti da implementare, alla ricerca di un vantaggio competitivo sia operativo sia nei confronti del mercato. Tuttavia, con l’obiettivo di massimizzare le prestazioni operative e ridurre al minimo gli sprechi, c’è una componente tecnologica che spesso viene tralasciata: il capitale umano.

Le persone, di fronte alle novità, si distinguono in due grandi categorie: coloro i quali cercano e apprezzano il cambiamento e quelli che lo rifiutano totalmente; quest’ultima categoria è ovviamente la più comune, non solo in coloro che sono più prossimi alla tanto agognata pensione, ma anche tra i giovani che cercano di scalare la piramide aziendale progetto dopo progetto. L’innovazione, mascherata da nuovo software, tecnologia, processo, best practice o teoria filosofica, porta con sé il cambiamento come componente fondamentale. Questo è il motivo per cui ogni progetto di implementazione innovativo dovrebbe tenere conto della gestione del cambiamento e dei suoi impatti organizzativi.

Un’innovazione è “l’atto, l’opera di innovare, cioè di introdurre nuovi sistemi, nuovi ordinamenti, nuovi metodi”. Innovare vuol dire quindi introdurre modi diversi di fare le cose e di pensare. Quindi, innovare, in una qualsiasi organizzazione significa cambiare il modo in cui le persone fanno il proprio lavoro e il modo in cui pensano al proprio lavoro, o al loro atteggiamento e ai loro obiettivi di carriera. Tutto questo, ça va sans dire, è più facile a dirsi che a farsi.

Durante la valutazione di un nuovo progetto, le aziende tendono a prendere in considerazione l’investimento finanziario iniziale e le successive riduzioni dei costi e/o maggiori ricavi e margini, trascurando la variabile umana. L’innovazione ha un suo costo intrinseco, cioè affrontare un cambiamento, cosa sempre stressante e più o meno difficile a seconda della cultura e dei valori individuali e organizzativi. D’altro canto, l’innovazione dovrebbe essere vista come un’opportunità per migliorare le skill (soft e non) delle persone, rivedere i processi aziendali e promuovere una cultura di gestione del cambiamento nell’intera organizzazione.

Ma quali sono le alternative disponibili? La prima, e forse peggiore, è rifiutare completamente l’innovazione e sperare di sopravvivere in un’economia in continua evoluzione. La seconda, più comune, è accettare il cambiamento e l’innovazione, ma sperando che un investimento finanziario costringa l’organizzazione a evolvere in qualche modo. La terza, e più preferibile, è quella di abbracciare l’innovazione, sviluppando una forte capacità di gestione del cambiamento e considerando il capitale umano come un pilastro fondamentale per le attività di project management.

Qual è il rovescio della medaglia? Come affermato nel modello “ASA” di Benjamin Schneider:

  • le persone sono attratte da organizzazioni i cui membri sono simili a loro stessi in termini di personalità, valori, interessi e altri attributi;
  • le organizzazioni hanno maggiori probabilità di selezionare coloro che possiedono conoscenze e abilità simili a quelle possedute dai loro membri esistenti;
  • col passare del tempo, coloro che non si adattano bene hanno maggiori probabilità di andarsene.

Ogni progetto (o processo) innovativo farà allontanare alcune persone e ne attirerà altre. Questo è di per sé uno degli aspetti più importanti dell’innovazione: costringe l’organizzazione a cambiare la propria cultura, ad evolversi e ad adattarsi ad una nuova dimensione di sé.

Per concludere, nella valutazione di qualsiasi progetto/investimento innovativo, le aziende non dovrebbero dimenticare i costi legati a cambiamenti stressanti e la funzione HR dovrebbe essere pronta a reagire e guidare l’organizzazione nella giusta direzione, perché i benefici dell’innovazione sono infiniti e stare fermi non è più un’opzione disponibile.

 

BIBLIOGRAFIA

  • “ASA model (Attraction-selection-attrition)” tratto da “People make the place” di Benjamin Schneider (Personnel Psychology, 1987).
Vincenzo Morello

Vincenzo Morello

Consulente MAS

Si occupa di Operations, Digital Innovation e Project Management nell’ambito di programmi di innovazione aziendale nei settori del fashion, del lusso e della produzione manifatturiera. Precedentemente si è dedicato ad attività di integrated reporting ed ha occupato posizioni di responsabilità nel settore retail/commerciale del mercato Fashion. E’ laureato in Business Administration presso l’Università degli studi di Padova.

Innovation & Technology al Politecnico Calzaturiero

Il mercato italiano è unico in termini di creatività e patrimonio di conoscenze, soprattutto in settori come quello del Fashion e dell’abbigliamento e calzature di lusso. Tuttavia le aziende ormai agiscono sempre più in uno scenario digitale. Come possono preservare l’unicità del loro marchio in tale scenario? Come far fruttare le competenze tradizionali nel mondo informatizzato? Come ottimizzare i processi di sviluppo creativo e di produzione con il supporto degli strumenti digitali?

A queste ed altre domande si è cercato di rispondere durante il seminario “Innovation & technology: PLM nell’industria del Fashion”, ospitato mercoledì 10 aprile nella sede del Politecnico Calzaturiero e che ha visto partecipare importanti realtà imprenditoriali del settore quali Lotto e Christian Louboutin assieme ad altre a servizio dell’industria (hanno avuto modo di presentare i loro prodotti Centric, focalizzato sul suo pacchetto PLM, 3D Excite e SolidWorks per le applicazioni software 3D, Nuovamacut con esempi reali di stampa tridimensionale su periferiche HP), compresa la presenza di MAS in veste di co-organizzatori.

Mauro Tescaro - Direttore del Politecnico CalzaturieroNell’introduzione di Mauro Tescaro, direttore del Politecnico Calzaturiero, oltre ad una presentazione delle attività formative e didattiche dell’istituto, sono state sottolineate le linee guida del dibattito: cercare di scoprire come la tecnologia e l’innovazione possano servire il Made in Italy per competere nel mercato globale valorizzando le singole abilità creative e produttive. Una nutrita platea di astanti, composta perlopiù da manager e tecnici di aziende venete (sia multinazionali del fashion con presenza locale, sia PMI che operano nella filiera del lusso), ha potuto quindi dapprima verificare le funzionalità particolari di pacchetti software al servizio dello sviluppo prodotto e della produzione (gestione distinte base, materiali, accessori, componenti, classificazioni, ma anche prototipi 3D) e poi assistere ai racconti delle esperienze vissute sul campo da chi ne ha già iniziata l’implementazione.

Walter Macorig di MASIn veste di relatore, Walter Macorig ha tenuto un primo intervento sull’ “Importanza del Digital Product Development nell’era 4.0”: in quanto società di consulenza, MAS ha curato numerosi progetti di innovazione sullo sviluppo prodotto e con piattaforme PLM presso importanti marchi della moda, esperienze che hanno permesso di focalizzare alcuni punti di attenzione (ad esempio sull’importanza della progettazione e sulla cura del cambiamento organizzativo, non secondari all’aggiornamento dei sistemi) e fornire degli spunti al pubblico a partire da situazioni reali. Numerose esigenze imprenditoriali nascono infatti da esigenze pratiche: controllo dei costi, aumento dei margini, maggiore velocità, maggiore qualità. Per questo sono risultati particolarmente interessanti i racconti delle effettive esperienze progettuali nei successivi due interventi, relativi a importanti realtà che operano in mercati diversi nel mondo della calzatura, tenuti da Sebastiano Di Camillo di LottoStonefly e Tito Simone di Christian Louboutin, i quali hanno delineato gli impatti delle implementazioni tecnologiche nelle loro aziende e le modalità con cui li hanno gestiti. Nell’ultima parte del seminario ci si è invece calati a scandagliare le possibilità di applicazione di un software PLM e i suoi relativi benefici, grazie alla presentazione puntuale di Silvano Joly di Centric della loro soluzione.

Considerate le reazioni del pubblico, si è potuta avere la conferma che si tratta di temi molto sentiti e all’ordine del giorno: il grande vantaggio di eventi come questo è poter raccogliere le esperienze sul campo di aziende che credono nell’innovazione digitale, stanno sviluppando progetti e si trovano così ad affrontare problemi simili a quelli di molte imprese del territorio. I sistemi Digital oggi non sono solo sviluppo prodotto, ma anche vendite, marketing, approvvigionamenti e integrazioni di filiera, analisi dei dati, sistemi di collaborazione e quant’altro. Ma ad ogni modo, anche dai casi studio emersi è stato confermato come i progetti di innovazione siano strategici in questo momento storico, e come non si tratti solo di mere introduzioni di strumenti tecnologici, quanto piuttosto di strategie di profonda trasformazione organizzativa.

Industria 4.0 e start-up italiane: un confronto fra regioni

Il tema dell’industria 4.0 sta sempre più interessando il contesto imprenditoriale italiano, grazie anche alle politiche economiche recentemente introdotte in tale ambito. Benché vi siano alcuni studi volti ad esaminare il livello di sviluppo della “quarta rivoluzione industriale” all’interno delle imprese italiane, scarse sono le indagini che mirano ad individuare il nesso fra industria 4.0 e le start-up nel nostro paese.

In un’analisi condotta nella tesi di laurea “Industry 4.0 and the perspective of the change in the technological paradigm. The case of Italian start-ups in the international environment” si è approfondita tale tematica focalizzando l’attenzione su due principali regioni (Toscana ed Emilia-Romagna) in cui sono state intervistate 80 start-up. In entrambe le regioni prevalgono le realtà specializzate nello sviluppo di tecnologie innovative, segnale che le iniziative regionali, nazionali ed europee volte a favorire la diffusione del 4.0 hanno senz’altro contribuito a determinare tale scenario (il 51,6% delle start-up toscane e il 67,3% di quelle emiliane intervistate sono aziende sviluppatrici di tecnologie abilitanti). Per esempio, la Regione Toscana ha recentemente introdotto il programma “Piattaforma Toscana 4.0”, a diretto supporto delle imprese in tema di innovazione tecnologica; in Emilia-Romagna, con l’iniziativa “Rete Alta Tecnologia” si è invece provveduto a consolidare il rapporto fra istituzioni accademiche ed industria, dando luogo a numerosi progetti riguardanti l’utilizzo e lo sviluppo di tecnologie abilitanti.

Una delle differenze più significative tra le due regioni riguarda l’appartenenza o meno delle start-up intervistate ad un incubatore, acceleratore od organizzazione similare: in Emilia-Romagna il numero di aziende aggregate è maggiore rispetto alla Toscana (53,1% contro 41,9%). Mentre in Emilia-Romagna è stata creata una rete in grado di coinvolgere aziende, istituzioni, università e centri di ricerca (Aster , 2019) allo scopo di promuovere la nascita di start-up, in Toscana ci sono alcuni incubatori ed acceleratori distinti fra loro, ma non si è provveduto alla creazione di una simile rete. Inoltre è da osservare come il numero delle start-up presenti in Emilia-Romagna sia di gran lunga maggiore rispetto a quelle in Toscana: infatti nella prima regione sono attualmente registrate 883 start-up, mentre nella seconda solo 425 (Startup Registro Imprese – Elenco e statistiche Startup , 2019). Pertanto, questi due diversi contesti hanno prodotto risultati differenti, e le singole politiche regionali sono state decisive per poter favorire lo sviluppo di nuove imprese e la loro eventuale aggregazione.

Un altro aspetto su cui si è voluto indagare concerne il livello di preparazione delle start-up intervistate in merito alle sfide future prospettate dall’industria 4.0: uno dei dati più rilevanti riguarda il fatto che il 35% delle start-up emiliane ritiene di essere in larga misura preparata verso le sfide future, contro solo il 3,23% delle aziende toscane. In generale, le start-up provenienti da entrambe le regioni hanno individuato come ostacoli principali agli investimenti in industria 4.0 i costi eccessivamente alti, l’alta complessità unita ad un livello di conoscenza delle tecnologie ancora insufficiente, nonché il fatto che i benefici economici associati al concetto di 4.0 non siano ancora totalmente chiari. L’indagine condotta ha anche evidenziato che la maggior parte delle aziende toscane è specializzata nello sviluppo di tecnologie IoT e associate alla cyber security, mentre cloud, prototipazione rapida e soluzioni produttive avanzate sono le tecnologie su cui le start-up emiliane si sono maggiormente concentrate. In generale IT e servizi sono i settori più gettonati.

Questi dati sono particolarmente significativi in quanto mettono in luce su quali aspetti sia opportuno focalizzare l’attenzione per favorire innovazione e sviluppo tecnologico/digitale: la previsione di specifici programmi volti ad aumentare il livello di conoscenza di questo fenomeno, congiuntamente a campagne rivolte a mettere in risalto i benefici economici apportati dall’adozione di tecnologie abilitanti sono tutti elementi che possono concretamente contribuire a fronteggiare gli ostacoli connessi con il concetto di industria 4.0.

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Dall’analisi condotta emerge che il livello di sviluppo delle start-up in Emilia-Romagna è maggiore se confrontato con la Toscana, e che la previsione di politiche regionali mirate, volte all’incremento del numero di start-up e alla collaborazione fra soggetti diversificati (università, aziende, centri di ricerca) è stato uno dei fattori che più ha contribuito a tale sviluppo. La mancanza, in Toscana, di una rete che preveda la partecipazione da parte di imprese e istituzioni, ha in certa misura accentuato questa differenza fra regioni. Pertanto, l’introduzione di un programma finalizzato alla creazione di una rete fra soggetti pubblici e privati potrebbe rappresentare un’opportuna modalità per il raggiungimento di un livello adeguato di competitività e per accrescere il livello di innovazione tecnologico/digitale. Inoltre, anche la creazione di un maggior numero di incubatori ed acceleratori contribuirebbe a migliorare la situazione corrente. Infine, le start-up dedite allo sviluppo di tecnologie abilitanti sono preponderanti in entrambe le regioni: ciò può costituire un elemento di riflessione in merito all’efficacia delle iniziative regionali su industria 4.0 e, quindi, una loro ulteriore diffusione ed implementazione potrebbe rappresentare un utile strumento a supporto del mantenimento della competitività sul piano regionale e nazionale.

 

BIBLIOGRAFIA

Francesca Mandorli

Francesca Mandorli

Consulente MAS

Segue progetti di trasformazione digitale, analisi dei dati, riassetto organizzativo per le strategie digitali, content editing e comunicazione nell'ambito industriale manifatturiero e dei servizi. E’ specializzata in gestione aziendale, con un focus particolare sui temi di Industria 4.0 e Digital Transformation; ha inoltre esperienza nei settori marketing e comunicazione. E’ laureata in Gestione d’Azienda presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore.

Organizzazioni Esponenziali e strategie digitali

Cosa sono le organizzazioni esponenziali? Si tratta di imprese moderne di ogni settore, quasi sempre all’avanguardia nel campo digital, caratterizzate da velocità di crescita elevatissime con ridotti tempi e costi di offerta di un nuovo prodotto o servizio. Le principali e più famose rappresentanti delle Exponential Organizations (ExO) sono società che hanno superato il valore di mercato di 1 miliardo di dollari a pochissimi anni dalla loro nascita (8 anni ci ha messo Google, 5 anni Facebook, 4 anni Tesla e solo 2 anni Whatsapp, giusto per dare qualche nome).

Il paradigma delle ExO risale al 2014, anno di pubblicazione del libro “Exponential organizations – Il futuro del business mondiale” (edito in Italia da Marsilio) dell’imprenditore, esperto di organizzazione aziendale e co-fondatore della Singularity University Salim Ismail. Questo paradigma si sta ormai diffondendo in ogni settore (si pensi ad Amazon, Uber, Airbnb, Spotify o Netflix), dato che il mercato globale si trova ad affrontare dei cambiamenti sostanziali, e sempre più realtà imprenditoriali si stanno rivolgendo con profitto a nuovi standard tecnologici digitali quali cloud software, Big Data, realtà virtuale, IoT e algoritmi computazionali.

Lo studio dei processi e delle strutture organizzative scalabili delle ExO ha permesso di individuare le caratteristiche salienti di questo genere di società, nonché i cardini teorici su cui far leva per direzionare le proprie scelte di business al fine di cogliere le opportunità offerte dalle nuove tecnologie digitali (in grado di individuare e creare market-place virtuali combinando web, cloud e Big Data e facendo leva sulle community che li sostengono). Tali aspetti specifici sono stati sintetizzati in due acronimi, Ideas (per la parte relativa agli strumenti e ai metodi di lavoro interni all’azienda) e Scale (per gli aspetti organizzativi ed operativi che coinvolgono l’esterno), configurando 10 punti fondamentali:

  1. Interfaces: le interfacce digitali servono per direzionare automaticamente ed in modo efficiente i corretti output verso le giuste persone all’interno dell’organizzazione.
  2. Dashboards: l’uso di dashboards è utile per tracciare e monitorare tutte le performance aziendali in tempo reale.
  3. Experimentation: la sperimentazione è fondamentale per i miglioramenti di prodotto e processo: oggi si può fare in modo rapido, con strumenti che raccolgono feedback istantanei.
  4. Autonomy: autonomia significa strutture snelle e poco gerarchiche, che puntano alla responsabilizzazione del lavoratore e all’apprendimento veloce.
  5. Social: tecnologie social sono ormai utilizzate anche all’interno delle aziende, giacché consentono comunicazioni immediate ed efficaci.
  6. Staff on-demand: l’assunzione di personale consulente consente l’immissione di nuove idee senza appesantire la struttura aziendale e mantenendola dinamica.
  7. Community: la cura, la gestione e lo sfruttamento della propria comunità virtuale consente alle idee di manifestarsi subito e di crescere e svilupparsi velocemente.
  8. Algorithms: gli algoritmi sono ormai fondamentali nella gestione dinamica dei prezzi e nell’ottimizzazione del traffico di informazioni ed oggetti.
  9. Leverage: l’outsourcing degli asset, anche di quelli critici, è indispensabile per l’agilità e per una rapida scalabilità della struttura aziendale. Sempre più imprese sfruttano oggi Saas e Cloud.
  10. Engagement: il coinvolgimento della clientela oggi, mediante strumenti digitali, è il più completo di sempre. Non v’è ExO che non abbia sfruttato pesantemente questa leva!

Il cambiamento portato dalle organizzazioni esponenziali è destinato a riverberarsi in un cambiamento organizzativo di tutte le imprese. Ciò sta già accadendo, e le sue conseguenze si manifestano con grande velocità e profitto per coloro che sanno cogliere questa opportunità; ma non si tratta necessariamente di grosse realtà: è pieno di startup innovative che da subito puntano su metodologie ambiziose per strutture scalabili già dalla nascita, così come grandi brand tradizionali che stanno implementando tecnologie digitali e strategie adeguate ai nuovi paradigmi di mercato, di fatto mettendosi rapidamente nelle migliori condizioni per competere in modo nuovo.

Il retail come esempio di integrazione digitale

Il settore retail, sulla spinta delle nuove tecnologie, sta modificandosi molto velocemente. La funzione dei negozi fisici già ora in molti settori non è più solo quella tradizionale: all’interno dei luoghi adibiti alla compravendita si cerca sempre più di coinvolgere il consumatore in un’esperienza d’acquisto unica, che non può trovare altrove.

I maggiori player di mercato hanno già iniziato questa transizione, in particolare ottimizzando alcuni aspetti (logistica, servizi accessori, supporto al cliente, canali di marketing…) nel tentativo di distinguersi in un contesto di mercato molto competitivo ed in rapido cambiamento; tuttavia, anche per fattori legati alle potenzialità delle più recenti tecnologie digitali, si rende necessario trasformare più profondamente il proprio modello di business. Dev’essere ripensata l’intera struttura organizzativa, modificando strutture e processi e sviluppando nuove competenze, soprattutto in campo digital, ed agire laddove in particolare si possono anticipare le esigenze dei consumatori.

I più importanti trend tecnologici in corso di sviluppo negli ultimi tempi costituiscono dei validi esempi del cambiamento del settore retail, e indicano al contempo la direzione verso la quale esso si sta dirigendo. Un canale unificato di vendita nel quale negozio fisico ed e-commerce vengano fatti agire sinergicamente e non in stretta concorrenza, completandosi a vicenda e contribuendo così ad offrire una migliore esperienza al consumatore, è una tendenza destinata ad un grande sviluppo nei prossimi anni, così come l’implementazione di nuove modalità di pagamento (si prevede che le tecnologie in quest’ambito subiranno verosimilmente un nuovo grande impulso nel 2019, quando entrerà in vigore la nuova direttiva europea “PSD2”). Anche smart devices e accessori digitali wearable giocheranno un ruolo maggiore nell’esperienza d’acquisto, così come sarà sempre più cruciale la tematica del customer care e della customizzazione dei servizi post-vendita in conseguenza delle sempre maggiori aspettative dei clienti “multicanale”. Prodotto e servizi costituiranno un tutt’uno.

E’ evidente come tutti questi aspetti riguardino il più generale tema della Digital Transformation in azienda, del quale, nel settore retail, non sono altro che il risultato più visibile (e spesso tangibile). Il cambiamento deve dunque partire dall’alto, con un forte supporto manageriale, e realizzarsi mediante nuove risorse e competenze, con un programma che delinei in modo chiaro la direzione e gli obiettivi del cambiamento. Per fare ciò, ogni player dovrà costruire la propria Digital Strategy nell’ottica di un’integrazione organizzativa che permetta una rapida reazione ai mercati e un dinamismo nell’affrontare i problemi, il miglioramento della propria identità di brand e soprattutto un pieno sfruttamento delle potenzialità delle nuove tecnologie digitali.

Manifattura 4.0 e Digital Transformation

I profondi cambiamenti che l’industria manifatturiera ha vissuto e sta vivendo in questi anni traggono origine principalmente dalle tecnologie digitali, e da modalità sempre nuove con le quali è possibile far interagire le persone con tali tecnologie. Nata nelle fabbriche con l’uso dei computer ai fini di automazione della produzione, e sviluppatasi rapidamente a partire dalla diffusione appunto di tecnologie digitali quali data analytics, business intelligence, Internet-of-things e intelligenza artificiale, l’Industria 4.0 si estende oggi potenzialmente a tutti i livelli aziendali, generando quindi la necessità di cambiamenti organizzativi, di processi e di funzioni sotto il segno della Digital Transformation.

 

Questa rivoluzione è destinata a modificare il modo in cui le aziende generano, raccolgono ed utilizzano dati, ottenendo informazioni utili e prendendo di conseguenza delle decisioni che possono avere un grosso impatto sull’operatività, oppure mirate a creare valore per il cliente finale, infine giungendo ad un netto miglioramento delle performance. Un soddisfacente livello di maturità digitale da raggiungere, in questo caso, costituisce l’orizzonte di ogni impresa che si trovi nel bel mezzo di un percorso di innovazione iniziato con l’automazione della produzione e/o di una parte della supply-chain, e proseguito con l’utilizzo di nuove tecnologie anche negli uffici di progettazione, di marketing o amministrativi. La difficoltà ora sta nel riuscire con successo ad adottare iniziative di trasformazione digitale più ampie, riguardanti l’intera struttura aziendale, poiché è in questa direzione di completa integrazione che si sta muovendo il mondo delle imprese manifatturiere.

 

Per esempio, è tramite strumenti di robotica avanzata in fabbrica, di realtà aumentata per la logistica, di IoT e di analisi dei dati, che la Digital Transformation sta materialmente accelerando il passo di cambiamento delle imprese. Ma ciò non è sufficiente, poiché devono essere modificati anche i processi di lavoro e l’assetto organizzativo, e molte volte anche gli strumenti informatici, coerentemente con una precisa digital strategy, per favorire una quanto più possibile completa integrazione digitale.

 

Quali sono i fattori chiave che consentono al management di brand manifatturieri di sfruttare al meglio le possibilità offerte dalle innovazioni connesse ad Industria 4.0? Primo, la comprensione del valore che le nuove soluzioni tecnologiche possono dare al proprio business; secondo, la prontezza di adottare tali tecnologie in conformità con la strategia adottata. E quali devono essere i tratti caratteristici delle imprese manifatturiere che guardano al futuro? Oggi si aggiungono, ai fattori cruciali di sempre quali talento, competenza, innovazione di prodotto, anche una digital strategy di medio-lungo termine efficace e dinamica (comprendente verosimilmente anche innovazioni di processo) e una politica di investimenti in innovazione mirata al cliente e guidata dalle tecnologie digitali (si pensi, per esempio, a quanto oggi sempre più prodotti vengano offerti corredati da servizi forniti in automatico grazie al digitale, spesso in Cloud o via App).

La strada da percorrere per le realtà della manifattura che vogliano oggi rimanere all’avanguardia della Digital Transformation in ottica Industria 4.0 è quindi duplice: da un lato l’integrazione a tutti i livelli degli adeguati strumenti digitali; dall’altro la traduzione, mediante idee innovative, talento e know-how, delle nuove tecnologie in innovazione che porti valore al cliente.

DigitalMeet 2018: tradizione Fashion e innovazione digitale

E’ da poco terminata la rassegna di incontri DigitalMeet 2018, il più grande festival italiano sull’alfabetizzazione digitale per cittadini e imprese, che per il sesto anno consecutivo ha proposto centinaia di appuntamenti, conferenze e workshop dedicati alle nuove tecnologie digitali, con la presenza di circa 400 ospiti esperti in materia.

Il dibattito sulle nuove tecnologie applicate al settore Moda ha avuto luogo giovedì 18 ottobre, presso la sede del Politecnico Calzaturiero di Vigonza (Pd), all’incontro intitolato “Tradizione Fashion e innovazione digitale”, con la partecipazione di un pubblico composto da studenti, dipendenti, imprenditori e semplici appassionati, oltre che naturalmente di esperti del settore in veste di relatori. L’incontro è stato preceduto da una visita ai laboratori dell’Istituto: tra nuovissime stampanti-3D all’opera, archivi digitali avanzati e qualche spiegazione teorica, si sono potute cogliere molte delle potenzialità relative a ricerca, progettazione e manifattura del prodotto scarpa.

Moderata da Walter Macorig di MAS management network, la tavola rotonda ha poi affrontato, mediante un approccio aperto al dialogo con tutti i presenti (chiamato BoF – birds of a feather), molte delle tematiche tecnologiche e comunicative che risultano critiche nei processi di innovazione e digitalizzazione aziendale: dall’integrazione di filiera produttiva alla valorizzazione degli archivi di prodotto, passando com’è d’obbligo per una riflessione circa i nuovi canali di vendita aperti dall’e-commerce ed il corrispondente cambiamento nel comportamento e nelle abitudini degli acquirenti.

 

A far la parte di relatori sono state diverse figure professionali del mondo del Fashion, dei settori industriali legati alla manifattura di alta qualità, della formazione e della consulenza tecnologica alle imprese nonché della comunicazione aziendale e delle risorse umane. Hanno infatti condiviso il loro prezioso punto di vista: Mauro Tescaro, Direttore del Politecnico Calzaturiero, promotore di un sistema integrato per la progettazione svolto in collaborazione con numerosi calzaturifici della Riviera del Brenta; Rosanna Fornasiero, ricercatrice del CNR ed esperta di nuove tecnologie industriali, organizzazione aziendale e digitalizzazione nel settore Moda; Riccardo Capitanio in rappresentanza di Federmoda ed esperto del campo retail; Adalberto Osti (RES recruitment), da anni attivo nella selezione di personale ed in particolare di alti profili di competenza per il Fashion; Daniele Stella, CIO di Rossimoda e Massimo Coppola, Amministratore Delegato della camiceria Belmonte, specialisti dei nuovi canali distributivi e di supply chain; infine Lidia Zocche del Comune di Schio (Vi), responsabile dell’Archivio Lanerossi.

Tra gli aromenti affrontati è interessante segnalare alcuni temi ricorrenti che hanno animato il dibattito (anche grazie all’utilizzo in sala del sistema Sli.do di smart messaging in tempo reale tra relatori ed astanti, imbastito dagli studenti del corso di Marketing Digitale dell’Università IUSVE presenti): in primis naturalmente il gettonatissimo e-commerce, visto in senso allargato come generatore di nuovi canali di vendita ed innovatore dell’esperienza di acquisto (senza dimenticare il nuovo ruolo ricoperto dai punti vendita fisici). Inoltre si è parlato del supporto che la digitalizzazione può fornire all’integrazione della filiera e alla co-progettazione a distanza, dell’approccio della classe imprenditoriale nostrana alle nuove tecnologie ed i conseguenti investimenti in tal senso, e del problema collegato dell’individuazione di quali figure dirigenziali devono ed hanno le competenze per prendere decisioni di questo tipo. Infine, un breve excursus sulla storia dell’archivio Lanerossi e sulle modalità attuate per valorizzarlo non solo dal punto di vista museale, ma anche come supporto all’ideazione di prodotto ed alla produzione.

Convinti di un impegno sempre maggiore a supporto dell’innovazione aziendale e soddisfatti per la riuscita di questa edizione del DigitalMeet, a noi di MAS non rimane che darvi appuntamento al prossimo anno.