Metodologie di apprendimento non formale

Metodologie di apprendimento non formale

L’apprendimento informale avviene durante le attività quotidiane e consiste nell’imparare facendo direttamente il lavoro sul campo, formula chiamata learning by doing. Consente alle persone di accrescere spontaneamente la propria maturità e di implementare, con spontaneità e naturalezza, grazie alla partecipazione “in prima persona”, le proprie conoscenze. Stimola e dà spazio al bisogno di partecipazione attiva e di espressione delle proprie opinioni. Avvicinare il setting e le modalità educative a quelle esperienziali della vita quotidiana contribuisce allo sviluppo personale dell’individuo, al loro inserimento sociale e introduce l’abitudine alla cittadinanza attiva. Il processo di apprendimento, quindi, non avviene tramite spiegazione diretta da parte di un insegnante, come accade nel metodo formale, ma si realizza attraverso l’azione e la sperimentazione in prima persona di nuove situazioni, compiti e ruoli.

A partire dagli anni ‘60, in America e nell’Europa scandinava, i fattori che permisero lo sviluppo di questa metodologia furono due: il primo fu l’elevato costo dei sistemi scolastici, dovuto alla grande richiesta di servizi educativi, mentre il secondo fattore fu la consapevolezza, diffusa soprattutto nei paesi del nord Europa, che la scuola doveva essere solo uno dei diversi metodi formativi presenti nella società. La Commissione Europea ha deciso di dare molto valore a questo tema, tanto che nel 2002 ne ha largamente parlato all’interno del Libro bianco (“White Paper”), un documento ufficiale dedicato a “un nuovo impulso per la gioventù europea”.

Tra le metodologie principali troviamo:

  • La Gamification, che deriva dalla parola “game” e viene definito come un insieme di regole mutuate dal mondo dei videogiochi. Ha l’obiettivo di applicare meccaniche ludiche ad attività che non hanno direttamente a che fare con il gioco, ad esempio il mondo del lavoro. In questo modo è possibile influenzare e modificare il comportamento delle persone, favorendo la nascita ed il consolidamento di interesse attivo da parte degli utenti coinvolti verso il messaggio che si è scelto di comunicare, sia all’incremento di performance personali o più in generale alle performance d’impresa. La Gamification si pensa che possa essere una soluzione per rendere il lavoro dei dipendenti molto più coinvolgente e stimolante, ed è visto come strumento capace di aumentare le performance.
  • Il World Café è un metodo semplice ed efficace nel dar vita a conversazioni informali, vivaci e costruttive, su questioni e temi che riguardano la vita di un’organizzazione o di una comunità. Particolarmente utile per stimolare la creatività e la partecipazione. Gli incontri informali tra le persone (le conversazioni nei bar, nei salotti, dal barbiere, ecc.) sono stati storicamente opportunità di scambio, partecipazione e apprendimento, nonché di preparazione all’azione sociale.
  • LEGO® Serious play è una metodologia di facilitazione non formale orientata al confronto in contesti di collaborazione. Attraverso l’uso dei mattoncini LEGO, impiegati come strumento rappresentativo e metaforico, la metodologia supporta gruppi di lavoro in una riflessione su un tema comune che conduca a concrete assunzioni di responsabilità condivise.

Un approccio bottom-up, dal basso verso l’alto, prevede che l’attività educativa avvenga nell’interesse degli individui che sono chiamati a partecipare all’organizzazione e alla progettazione delle attività. Una maggiore responsabilità per le persone che dà la possibilità di capire e, se necessario, cambiare la struttura sociale intorno a loro. I risultati dell’educazione non formale sono evidenziati dal livello della crescita personale dei partecipanti, dalla consapevolezza sui temi trattati, dalla valutazione dei propri risultati di apprendimento, dalla capacità di applicarli ad altri contesti, dalla motivazione, dalle abilità e dalle competenze trasversali.

2 tecniche per il Time Management

2 tecniche per il Time Management

Il 2022 è stato l’anno della rinascita e della ripartenza, pian piano il mondo ha ripreso a vivere e ha riassaporato la normalità dopo due anni di stand-by causati dall’infezione da Coronavirus. I cambiamenti che ci sono stati negli ultimi anni sono stati davvero molti: l’uomo è passato da una vita sempre in movimento ad una sedentarietà quasi innaturale. I mutamenti sono diventati ormai una costante nella vita di tutte le persone, è importante però saper cogliere sempre il lato positivo degli avvenimenti e trasformarli in grandi occasioni. Uno degli elementi chiave da tenere sempre il considerazione è il tempo, fattore troppo sottovalutato e non attenzionato come dovrebbe.

Il tempo non esiste ma, come dice Einstein, è un susseguirsi di infiniti movimenti e cambiamenti che si basano sulla percezione umana di un momento presente. Time Management significa saper gestire il tempo, cercando di ritagliare dello spazio per tutte le attività evitando sia il protrarsi di periodi di inattività sia sovraccarichi. Lavorare sulla direzione nel tempo è essenziale sia nella vita privata per gestire al meglio i rapporti con i familiari, amici e conoscenti,  ma soprattutto nel lavoro per essere più efficaci, efficienti, produttivi e per stare sempre al passo con tutti i progetti.

Ad oggi esistono molti metodi relativi al Time Management, dove ogni individuo può scegliere quello a lui più affine e che porti i risultati attesi. Analizziamo ora due tecniche molto semplici e pratiche che, con poche indicazioni e istruzioni, possono risultare davvero utili e preziose sia nella sfera lavorativa che in quella privata.

Il primo metodo, molto facile e concreto, è il Time Boxing, che consiste nel definire per ciascun compito blocchi di tempo concreti entro i quali tali compiti devono essere assolutamente conclusi. La regolare pianificazione può essere fatta su base giornaliera, settimanale o anche mensile. E’ importante ricordarsi di inserire anche del tempo per le pause e il riposo della mente. La suddivisione delle varie attività può essere effettuata manualmente tramite delle agende pre-impostate o su fogli di lavoro Excel, tramite la pianificazione su Google Calendar o su applicazioni a pagamento. Queste ultime due opportunità inviano le notifiche ogni quindici minuti prima che inizi il progetto. E’ importante tenere a mente che bisogna iniziare l’attività di programmazione sempre dai compiti più facili per poi aumentare il grado di difficoltà, rispettare i tempi di lavoro e concentrarsi sul tempo e non sul compito stesso. Il time boxing è uno strumento utile anche per analizzare e valutare il lavoro svolto, essere più efficaci, ridurre le distrazioni e gli sprechi di tempi. Bisogna stare attenti però a rispettare le scadenze impostate del lavoro previsto e avere la capacità critica di suddividere in maniera proporzionata il tempo per i vari compiti.

La seconda metodologia, altrettanto intuitiva e precisa, è la tecnica del Pomodoro. Viene ideata negli anni ‘80 dall’italiano Francesco Cirillo, uno studente universitario che ha difficoltà a concertarsi in alcune materie. “Pomodoro” come la forma che avevano i famosi timer da cucina in voga in quegli anni. L’applicazione della metodologia è molto semplice e non richiede particolari ausili al di fuori di una sveglia o di un semplice orologio, che serve per impostare il timer per le varie sessioni di lavoro\studio. Il metodo consiste nell’alternare cicli di lavoro da 25 min a piccole pause di 5 min, facendo una pausa più lunga ogni 4 intervalli di lavoro. Con il passare degli anni la teoria è stata maggiormente sviluppata e personalizzata. Molti sono i video online che possono essere usati come sostegno per lo studio in compagnia o semplicemente come sottofondo musicale, a seconda del tema che si preferisce. Esistono anche diverse App e funzioni già preimpostate nella maggior parte dei cellulari moderni che supportano lo scopo di questa tecnica, bloccando la ricezione di notifiche che potrebbero distrarre o limitare la concentrazione. Ad esempio, l’iPhone dispone della modalità “Non disturbare” che si può personalizzare impostando gli orari in cui attivarla.

La metodologia è utile principalmente nel contesto lavorativo soprattutto per chi ha la tendenza a distrarsi facilmente, poiché tale sistema permette di organizzare le proprie attività e gestire al meglio il tempo. Sicuramente è necessario ed indispensabile ricordarsi di effettuare delle piccole pause durante tutto l’arco della giornata tra un’attività e un’altra per rimanere freschi e concentrati. Gli effetti positivi della metodologia del pomodoro sono: avere una concertazione più stabile e prolungata ed avere una panoramica precisa della produttività durante la giornata lavorativa. Al contrario, uno dei principali punti critici di questa tecnica, è che non sembra essere applicabile realmente a un lavoro che preveda di rimanere concentrati per più di 25 min. Inoltre il rispetto dei tempi prestabiliti potrebbe diventare un fattore di stress e ansia anziché di carica e di motivazione.

Invece di seguire alla lettera questa teoria, può essere certamente più utile adattarla alle esigenze di ogni individuo e alle varie mansioni, effettuando delle pause per liberare la mente e ossigenare le idee. Impostando intervalli di lavoro più lunghi vi è un minor rischio di dover distogliere l’attenzione a metà dell’esecuzione di un compito importante, interrompendo il flusso creativo volto alla risoluzione del problema. Per essere ancora più efficienti si può adottare la soluzione di effettuare un break da 15min ogni 2 ore di lavoro, in modo da avere il tempo sufficiente per sgranchirsi un po’ le gambe e fare uno spuntino. Di conseguenza, l’operatività di un dipendente sarebbe superiore al 90% nelle 8 ore lavorative.

Saper utilizzare al meglio il proprio tempo sta diventando sempre di più un requisito essenziale che le aziende richiedono in maniera concreta e specifica, in quanto rappresenta un vantaggio competitivo non indifferente per le società. Inoltre attraverso una buona gestione del tempo ogni persona può raggiungere traguardi molto importanti, riuscendo a bilanciare in maniera ottimale la vita privata e lavorativa.

Team building – Beach Volley MAS

Team building – Beach Volley MAS

In MAS noi consulenti in ambito gestionale, direzionale e tecnologico, lavoramo spesso per progetti, di solito anche molti contemporaneamente, costruendo relazioni con soggetti differenti, collaboratori, manager, e facendo parte di numerosi team di lavoro. Talvolta anche la conoscenza dei propri colleghi è superficiale e, con lo smart-working, anche solo virtuale. Le nuove tecnologie oggi aiutano molto l’interazione, ma in quanto a tener saldi i rapporti interpersonali all’interno di attività mutevoli e frammentate, ad ottimizzare il lavoro di gruppo in maniera solida ed efficace, possono aiutare le attività di team building.

Utilizzato nell’ambito delle risorse umane, team building è un temine che racchiude un insieme di attività formative, variamente declinate come team game, team experience, team wellbeing, il cui scopo è sedimentare rapporti di collaborazione, conoscenza reciproca, fiducia e lavoro di squadra all’interno di un gruppo di colleghi.

La creazione di un buon team di lavoro è infatti importante per tutte le aziende. Immersi in un ambiente comune, spesso con degli obiettivi da raggiungere collettivamente, e incaricati di svolgere delle attività divertenti da cui emergono però valori condivisi, aiuto reciproco e collaborazione, i partecipanti possono migliorare ed aumentare le performance del team mediante delle prove svolte in contesto informale e privo delle consuetudini tipiche del posto di lavoro.

A questo scopo, noi di MAS Management Network abbiamo deciso di organizzare una serata di beach volley aziendale. Le persone con esperienza pregressa nel gioco della pallavolo hanno così potuto sfoderare le loro doti di leadership assumendo il ruolo di coach ed istruendo così il team. Dopo un allenamento di base, sono state formate due squadre e la sfida ha avuto inizio. La competizione si è comunque svolta in atmosfera amichevole e rilassata, culminata nel ritrovo finale a cena per un terzo tempo aziendale alternativo ai soliti aperitivi.

Una serata all’aria aperta in cui i consulenti MAS hanno imparato a conoscersi meglio, a lavorare in gruppo in modo più unito ed a metter in pratica i rudimenti del beach volley.

La ricerca del lavoro nell’era post-pandemia: nuove generazioni e Great Resignation

La ricerca del lavoro nell’era post-pandemia: nuove generazioni e Great Resignation

Torniamo indietro di qualche anno a quando la pandemia e le mascherine erano solo scene da film, l’idea di smart-working non era ancora entrata nelle nostre teste e recarsi a lavoro in ufficio era consuetudine giornaliera. Da allora molte cose sono cambiate nel giro di poco tempo. D’altronde un evento imprevisto e così dirompente non può che sconvolgere l’equilibrio a cui eravamo abituati. Trascorsi poco più di due anni dall’inizio dello stato di emergenza possiamo dire che si è assistito a una trasformazione progressiva non solo a livello aziendale ma anche sociale. Se da un lato le organizzazioni hanno dovuto adattarsi alle nuove esigenze, implementando nuove tecnologie e sistemi informatici, dall’altro si sono ridimensionate le priorità e i bisogni individuali.

Le conseguenze di tali cambiamenti sono visibili in diversi ambiti tra cui quello della gestione e ricerca del personale. Se la maggior parte dei dipendenti si è dimostrata favorevole a forme ibride in cui si alternano giorni di lavoro in presenza e altri da remoto, pensare di impiegare il personale sempre e solo in ufficio, oppure optare per una modalità di lavoro 100% a distanza, potrebbe scontentare una parte significativa della propria forza lavoro. (cfr. Alight Solutions). Ciò che è richiesto, oggi, è una flessibilità che permette di poter migliorare l’equilibrio vita-lavoro e le proprie prerogative personali.

Si è entrati nella così detta Great Resignation, iniziata negli Stati Uniti nel 2021, ed ora presente anche in Italia. Si tratta di un boom generale di dimissioni volontarie dovute a diverse cause tra cui la ricerca di uno stile di vita migliore e condizioni economiche più soddisfacenti. Nel nostro Paese, stando a quanto riportato dall’Aidp (associazione italiana direzione personale) il fenomeno interessa il 60% delle aziende e tra i settori più coinvolti ci sono quello informatico-digitale (32%), produzione (28%) e marketing e commerciale (27%). Le persone che intraprendono questa strada sono per lo più Millenials e giovani appartenenti alla generazione Z che cercano un impiego tale da poter soddisfare le loro esigenze e che sia in linea con i loro valori. Se in passato si ambiva principalmente al così detto “posto fisso”, adesso le aziende devono sapere comunicare con i loro dipendenti e tenere in considerazione nuovi elementi nel processo di selezione e reclutamento del personale. Ciò ha un riscontro rilevante nell’incontro tra domanda e offerta di lavoro nel mercato, in particolar modo per i più giovani che cercano un impiego e per i datori di lavoro a cui è richiesto un interesse più profondo nei confronti dei propri collaboratori.

Secondo il già citato studio condotto dal Alight Solution intitolato “l’Era dell’HR Agile”, per la generazione Z e i Millenials sono 4 i fattori che determinano l’individuazione dell’impresa ideale:

  • Cultura aziendale allineata ai valori personali
  • Possibilità di ottenere lavoro ibrido
  • Accesso a un percorso formativo e di crescita (per il 30% è essenziale), anche nell’ottica di un possibile cambio di lavoro (il 25% lo mette in conto) e possibilità di far carriera (il 49% è disposto a licenziarsi in assenza di prospettive)
  • Trasparenza salariale (il 48% lo richiede)

Il motivo per cui ultimamente si è assistito ad un aumento delle dimissioni da parte dei giovani impiegati può derivare dal fatto che spesso le aziende non sono riuscite ad intercettare questi trend trascurando i desideri di autorealizzazione e di crescita personale.

Una delle sfide più ardue che gli HR si troveranno ad affrontare sarà proprio quella di riuscire ad attrarre e trattenere i talenti partendo da un’approfondita analisi della situazione organizzativa. E’ necessario sapere realmente ascoltare i dipendenti, chiedersi se ciò che fanno sia in linea con i loro ideali e rafforzare valori, quali fiducia, comprensione e senso di appartenenza. Inoltre, essere in grado di valorizzare il loro operato è essenziale per creare un senso di soddisfazione personale.

La trasparenza aziendale come vantaggio competitivo

La trasparenza aziendale come vantaggio competitivo

Sul fatto che il mondo del fashion stia cambiando non ci sono dubbi. Tuttavia, sebbene molte imprese abbiano adottato un approccio direzionale in linea con le nuove prospettive, resta calda la questione riguardante la trasparenza aziendale che ultimamente sta diventando un caposaldo rilevante per il settore moda. Con questo termine si definisce la procedura, più o meno dettagliata, attraverso cui un’azienda decide di comunicare all’esterno tutte quelle caratteristiche e processi che determinano la creazione di un prodotto o servizio, nonché le iniziative e operazioni che si intendono intraprendere per raggiungere la mission di fondo. Non mancano a tal riguardo, riferimenti agli impatti ambientali che ne derivano così come agli interessi sociali rivendicati, quali diritti umani e pratiche di inclusività. All’interno dell’industria del fashion, se in passato tale aspetto veniva posto in secondo piano e non sempre gli veniva attribuita una giusta considerazione, ora risulta essere un fattore determinante per ottenere un vantaggio competitivo all’interno del mercato.

Il consumatore è molto più sofisticato rispetto a qualche anno fa; è incline a conoscere con maggior precisione le caratteristiche del prodotto che acquista ed è più attento a considerare i risvolti positivi e negativi delle sue azioni. Infatti, la consapevolezza di contribuire indirettamente a ridurre, ad esempio, gli impatti ambientali con l’acquisto di un prodotto sostenibile, genera valore sia per l’azienda sia per il consumatore stesso. Questo comportamento più esigente e selettivo, ha portato le aziende a cercare di comunicare il proprio operato con un approccio più chiaro e trasparente mettendo in luce gli obiettivi e i risultati che vengono raggiunti. Ciò determina un incremento dell’engagement tra l’organizzazione e il cliente che può effettuare un acquisto più cosciente sulla base delle informazioni che riesce a reperire.

Dalla tragedia di Rana Plaza avvenuta nell’aprile del 2013, che mise in luce le pessime condizioni in cui i lavoratori erano sottoposti, diverse iniziative e miglioramenti sono stati intrapresi dall’industria del fashion affinché i diritti umani venissero tutelati e ci fosse una maggiore trasparenza lungo l’intera supply chain. Per incentivare i grandi brand a divulgare una maggiore credibilità e confrontare i diversi livelli di trasparenza, è stato creato il Fashion Trasparency Index che nell’ultimo report del 2021 (cfr. Fashion Revolution) ha analizzato il grado di trasparenza di 250 grandi marchi e rivenditori sulla base di alcuni indicatori raggruppati in 5 macro-aree:

  • Policies and commitments
  • Governance
  • Supply chain traceability
  • Know, show e fix
  • Spotlight sulle azioni messe in atto in risposta al covid-19.

(Per vedere la classifica dei brand clicca qui)

Lo scopo non è solo quello di rendere più consapevole l’acquisto che si sta facendo, ma anche promuovere un senso di attivismo che salvaguardi i diritti umani di tutte le persone coinvolte nel processo produttivo. Come afferma il report, la mancanza di trasparenza comporta l’incapacità di adottare tempestivamente misure di intervento contro gli abusi nei confronti dei soggetti coinvolti e del pianeta. È bene ricordare, infatti, che trasparenza non significa sostenibilità ma che quest’ultima è raggiungibile solamente attraverso una nitida e comprensibile comunicazione degli impatti sociali e ambientali.

Spesso, parte del problema risiede a monte della catena produttiva che risulta essere complessa e opaca in quanto emergono squilibri tra i compratori e i fornitori e forme di sub-contratto possono compromettere la salute dei lavoratori. Infatti, secondo l’indagine condotta dal Fashion Revolution, sebbene il 62% dei brand intervistati mette in evidenza gli impatti ambientali delle operazioni a valle della filiera, essi non mostrano questi dati a livello di tutta la catena di approvvigionamento, dove si verificano circa l’80% delle emissioni. Altra questione importante, riguarda il fatto che quasi tutti i brand (99%) non rilevano il numero di lavoratori a cui non viene garantito un salario sufficiente per vivere nel proprio Paese. Si tratta, in particolare, di persone provenienti da Bangladesh, India, Cina e Indonesia che sono occupate nella fase di manodopera.

Cosa si può fare, allora, per evitare di alimentare un tale sistema e raggiungere un grado più elevato di trasparenza? Come prima cosa, ci deve essere un reciproco impegno tra il consumatore e l’azienda: ciò che può fare il primo è effettuare un acquisto più consapevole sulla base delle caratteristiche del prodotto in questione, mentre spetta al secondo provvedere a comunicare tali informazioni. Per facilitare questo interscambio, risulta efficace adottare un sistema di tracciabilità delle varie fasi produttive basato sull’utilizzo della blockchain (qui il nostro articolo a riguardo) che può garantire maggiore chiarezza ad ogni livello della catena di produzione fino al consumatore finale. L’Onu stessa è pronta a promuovere una forma di tracciamento da utilizzare come modello per tutte le imprese. (cfr. A global call for full supply chain transparency in the clothing sector).

Ulteriore strumento importante che si sta sviluppando è il così detto passaporto digitale messo a punto da Federico Marchetti (fondatore di Ynap) che, durante il G20 di Roma, insieme ad altri componenti della Fashion Taskforce, ha presentato la nuova iniziativa con lo scopo di fornire al cliente la storia del prodotto che si acquista. Si tratta di delineare in che modo i capi vengono realizzati, come sono stati distribuiti e che tipo di trattamento è stato eseguito. In tal modo, si avrà una visione più completa e veritiera di ciò che si indossa facilitando, di conseguenza, lo sviluppo di un’economia più sostenibile. Similmente, la Responsible Business Coalition, Accenture e Vogue, sta sperimentando l’introduzione di un logo digitale nei siti web da poter poi essere applicato anche sulle etichette stesse dei prodotti fisici che mostra, cliccandoci sopra i criteri ambientali o etici che l’indumento soddisfa (cfr. Impact Index, Vogue).

Se da una parte, come afferma lo studio condotto dal Global Luxury Brands Survey Report, il 70% dei brand analizzati prevede di migliorare i profitti nei prossimi due anni, è bene tenere presente che oltre alle entrate, un fattore determinante sarà rappresentato proprio dal grado di trasparenza aziendale riguardante le politiche, le pratiche e gli impatti a livello ESG (Environmental, Social and Governance).