Cos’è il Co-branding?

Cos’è il Co-branding?

L’avvento della tecnologia, dei nuovi mezzi di comunicazione ed il processo di globalizzazione hanno determinato il sorgere di un nuovo scenario competitivo tra le diverse aziende, alimentando, in un certo senso il fenomeno del co-branding.

Il co-branding è di fatto una collaborazione temporanea tra più brand, tesa a lanciare un prodotto figlio di questa unione. Si tratta di realtà già conosciute e riconoscibili dal pubblico, che possono così comunicare senza influenzare l’identità di marca. È caratterizzato da una prima marca definita ospitante o accogliente; mentre l’altro brand viene chiamato invitato o secondario. Tale contratto è caratterizzato da una significativa area di rischio, coinvolgendo elementi sensibili dell’impresa.

È possibile distinguere diverse tipologie di co-branding: funzionale e simbolico, esclusivo e non esclusivo. Il co-branding funzionale prevede l’indicazione sul prodotto di due o più marchi utilizzati nella realizzazione del prodotto medesimo. L’impresa titolare del brand ospitante stipula un contratto con un partner avente lo scopo di far figurare sul prodotto, un marchio esterno alla categoria in cui il prodotto stesso si trova. Il product base co-branding costituisce una forma più intensa di collaborazione tra i due o più brand.  I due o più marchi vengono combinati, creando un unico prodotto distintivo.

Nel mondo della moda l’attività di co-branding è sempre più comune soprattutto per aumentare l’audience, essere più creativi e rinnovare il brand dandogli un apporto sempre più innovativo e al passo con i tempi. Alcuni esempi di co-branding che hanno avuto successo nell’ultimo periodo sono i seguenti:

  • Diesel x Diesel: fake smile: Nel 2021 il brand propone una capsule collection composta da 24 capi iconici rubati dall’archivio del brand e riadattati allo stile e alle esigenze dell’epoca attuale per creare un collegamento tra il passato e presente. A celebrare questa collezione la campagna “Fake Smiles” dove per fake si intende “esagerazione”, con un taglio di ironia la capsule rappresenta una frecciatina alle mille collaborazioni che dominano l’industria della moda. Collaborando con se stessa, Diesel X Diesel rievoca non solo un sentimento nostalgico della propria Heritage passata ma rileva anche la propria capacità di far leva sul suo stesso marrchio creando un prodotto che nella mente del consumatore, proprio per la strategia controtendenza, si posiziona al di sopra delle usuali collaborazioni ricercate dagli altri brand.
  • Supreme x Luis Vuitton: La collaborazione tra Louis Vuitton e Supreme è stata una delle partnership più sorprendenti e influenti nel mondo della moda di lusso. La notizia ha generato un’enorme attesa e ha suscitato un grande interesse da parte degli appassionati di moda e degli amanti dello streetwear. La collaborazione ha presentato una vasta gamma di prodotti, tra cui borse, accessori, abbigliamento e scarpe. I classici motivi del monogramma di Louis Vuitton sono stati combinati con il logo iconico di Supreme, creando un’estetica unica che ha reso riconoscibili i prodotti della collaborazione. La collezione è stata distribuita in modo molto esclusivo. Inizialmente, è stata disponibile solo in selezionate boutique Louis Vuitton e presso alcuni pop-up store temporanei. Questa strategia di distribuzione limitata ha contribuito ad accrescere l’aspettativa e la richiesta dei prodotti.

Il contratto di co-branding, nella maggior parte dei casi, rappresenta una strategia di marketing vincente, che consente alle aziende la possibilità di creare, attraverso la fusione dei loro marchi, un’esperienza unica nel mercato. Nella società attuale, caratterizzata da una competitività sempre più spinta, il contratto di co-branding rappresenta senz’altro una soluzione sempre più utilizzata e scelta per la sua estrema duttilità anche in considerazione della reale capacità di “attrarre” nuova clientela e giungere con estrema efficacia e con maggiore impatto nel mercato del fashion.

NFT nel settore Moda

NFT nel settore Moda

Negli ultimi anni ha preso piede un nuovo formato di file digitali che promette di rivoluzionare il modo in cui gli oggetti possono essere posseduti, acquistati e venduti su Internet: i “token non fungibili”, o NFT.

NFT, infatti, sta ad indicare un non-fungible-token (token non fungibile). Gli NFT sono definiti anche “gettoni crittografici”, ossia dei sistemi che permettono di certificare la rarità digitale di un bene. Un’opera d’arte, un video, perfino un tweet, il tutto basato sulle blockchain. I “gettoni” hanno la caratteristica peculiare di essere unici e non possono essere scambiati con un altri token identici. Questo accade perché ogni token non fungibile viene creato con un codice interno univoco scritto appunto su blockchain. Il valore degli NFT viene stabilito principalmente dal mercato e dalla domanda, rendendoli paragonabili a qualsiasi altro tipo di opera d’arte, in questo caso arte digitale. Possono certificare un qualsiasi “oggetto”, fisico o virtuale che esso sia. Chi compra un NFT che corrisponde ad un’opera artistica digitale, possiede soltanto il certificato, ciò non significa che l’opera in questione diventi privata ma, al contrario, può tranquillamente restare on line e accessibile a tutti. Il valore degli NFT è legato ad un certificato di proprietà unico e si basa sulla tracciabilità del proprietario, del creatore, su date e storico delle transazioni.​

Per la “fabbricazione” degli NFT, infatti, occorre una gigantesca potenza di calcolo e ha le sue radici in numerose strutture (server farm) sparse nel mondo intero. È il principio su cui si basa anche la nascita di criptovalute. Il punto di partenza per la creazione digitale di un NFT è la produzione in una versione digitale dell’opera d’arte che, nel linguaggio informatico, è definita da una sequenza di cifre binarie. Questa sequenza viene compressa in un’altra sequenza chiamata “hash” (impronta digitale) che identifica in modo univoco e non violabile quel file: il processo di hashing rende impossibile ricostruire il documento digitale originario. Per la maggior parte degli NFT occorre aprire un wallet digitale all’interno del quale depositare e conservare le criptovalute necessarie per le transazioni. Una volta creato il proprio wallet contenente le criptovalute è necessario scegliere il marketplace (il negozio virtuale) dove acquistare o vendere NFT. Se l’NFT ha un costo molto economico o è gratuito è probabile che venga applicata una tassa variabile da pagare (gas fee). All’interno dei marketplace appaiono gli NFT disponibili. Gli acquirenti interessati possono fare delle offerte in asta, al termine della quale il venditore riceve un avviso con le migliori offerte degli acquirenti. Accettata l’offerta, la piattaforma gestisce il trasferimento di fondi del bene digitale concludendo il processo di vendita.

Un settore che molto si sta muovendo sfruttando gli NFT è quello della moda. Nel concreto, si stanno sviluppando due approcci a questa tecnologia. Un approccio più «classico» alla tecnologia prevede che tramite gli NFT, i clienti possano acquistare collezioni esclusive che poi ricevono a casa. La tecnologia NFT viene usata quindi solo come mezzo nel pagamento e per assicurarsi il diritto di proprietà sull’acquisto. Ben più scalpore ha fatto però l’approccio fully digital: in questo caso l’abito viene indossato da un avatar nel metaverso o in un videogioco. È il caso ad esempio della collaborazione fra Balenciaga e Fortnite.

La moda digitale ha trovato il suo apice nel metaverso. Con le previsioni degli esperti, secondo cui entro il 2026 ogni persona passerà almeno un giorno nel metaverso, i grandi marchi della moda hanno finanziato progetti nel mondo digitale, arrivando perfino ad organizzare la Metaverse Fashion Week, giunta lo scorso marzo alla seconda edizione.

Sistemi di tracciabilità nella filiera della Moda

Sistemi di tracciabilità nella filiera della Moda

Per il settore della moda il focus è e sarà sempre più indirizzato sul percorso di sviluppo sostenibile verso le nuove logiche ESG e verso una supply chain sempre più trasparente e tracciabile. In questo contesto sono l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione a giocare un ruolo fondamentale nel monitoraggio e nel controllo degli attori della filiera produttiva. “Sostenibile” è una qualsivoglia azione che, compiutasi nel presente, non preclude in alcun modo lo svolgimento della medesima nel futuro. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, l’industria della moda produce dall’8% al 10% di tutte le emissioni globali di CO2, ovvero tra i 4 e 5 miliardi di tonnellate di anidride carbonica immesse nell’ atmosfera ogni anno. Si stima che ogni anno ben l’85% dei tessili prodotti finisca in discarica.

Prerequisito essenziale: la tracciabilità, cioè la possibilità di sapere come, dove e quanto si inquina. In particolare l’Unione Europea vuole introdurre strumenti obbligatori o volontari che hanno l’obiettivo di standardizzare la misurazione della sostenibilità di imprese e prodotti. Strumenti che cercano sempre più di aumentare il livello di trasparenza dei brand e di responsabilizzarli.

Analizziamo i principali metodi per il tracciamento della sostenibilità nel settore della moda:

  • L’Higg Index è un tool di strumenti di misurazione per i settori tessile, dell’abbigliamento e delle calzature sviluppato da Sustainable Apparel Coalition, per misurare gli impatti sociali e ambientali. Si suddivide in tre categorie:
    • Higg Product Tools, che valuta quali strumenti sono utilizzati durante la progettazione di un prodotto per stimarne l’impatto una volta realizzato;
    • Higg Facility Tools, con i quali le aziende misurano le prestazioni sociali e ambientali delle loro strutture per migliorare gli impatti generati durante la produzione;
    • Higg Brand & Retail Module(Higg BRM), utilizzati dai brand per misurare gli impatti ambientali e sociali delle loro operazioni e apportare i necessari miglioramenti;
  • Il Passaporto digitale dei prodotti (DPP), la cui piena operatività è prevista a partire dal 2024. Il Passaporto Digitale dei Prodotti (Digital Product Passport) fornirà informazioni sulla sostenibilità ambientale degli articoli in commercio. Ogni capo di abbigliamento avrà un suo passaporto digitale che racconta a chi lo consulta da dove viene, che strada ha fatto per arrivare dov’è, chi lo ha costruito e disegnato, quali componenti lo compongono, dove e da chi sono stati prodotti. Inoltre faciliterà le riparazioni e il riciclo incentivando la trasparenza in relazione al loro impatto ambientale;
  • La tecnologia RFID (Radio Frequency IDentification) è un sistema di comunicazione wireless. Il fine è quello di ottenere dati che, una volta elaborati da sistemi di gestione, sono in grado di restituire informazioni e analisi in merito alla tracciabilità, alle scorte in magazzino e alla pianificazione aziendale. Si compone di quattro elementi fondamentali: Tag, Antenna, Lettori, Sistema di Gestione;
  • La Blockchain s’intende un database condiviso che permette di immagazzinare dati e registrare transazioni in modo verificabile e permanente creando un contesto di fiducia anche fra attori sconosciuti. Ha le seguenti caratteristiche principali: immutabilità, struttura decentralizzata e consenso. Il consumatore finale tramite la scannerizzazione del QR Code apposto sull’etichetta di un articolo potrà immergersi nella storia del prodotto.

Tuttavia, queste nuove sfide richiederanno in ultima analisi la partecipazione di tutti gli agenti coinvolti nella catena del valore del prodotto. L’introduzione delle nuove tecnologie per il tracciamento digitale nella filiera della moda rappresenta un mix di sfide ed opportunità, con cui ogni brand deve interfacciarsi per direzionarle a proprio favore, con uno sguardo agli impatti in termini di avanzamento sostenibile. L’innovazione nel settore fashion non è fatta solo di ologrammi e sfilate 3D.

Federmoda e studenti Iusve assieme per un Workshop sul digitale

Federmoda e studenti Iusve assieme per un Workshop sul digitale

Nell’ambito di una collaborazione ormai salda tra la Federazione Moda Italia e l’Istituto Universitario Salesiano di Venezia, Walter Macorig di MAS ha guidato una sua classe di studenti del quarto anno universitario in Marketing Digitale alla partecipazione a cinque progetti d’esame nel settore fashion.

Un Workshop di dieci giornate, con il supporto di Federmoda, ha affrontato il tema dei “negozi tradizionali” e del loro posizionamento all’interno dei nuovi canali digitali. Si è trattato inoltre di raccogliere informazioni nei distretti della moda del territorio, interrogando imprenditori, commercianti e clienti, al fine di analizzarne le attitudini, i desideri e le prospettive rivolte alle nuove tecnologie digitali applicate al lavoro, alla compravendita ed ai servizi connessi per quanto riguarda i prodotti del fashion.

Dal lavoro degli studenti dello Iusve è emerso, per esempio, che il 67% degli imprenditori del settore abbigliamento è interessato a corsi di aggiornamento e più della metà vorrebbe fossero incentrati proprio su tecnologia e nuovi media. I commercianti vedono i social network come un’opportunità e l’83% di essi ritiene che, con la giusta formazione, potrebbe raggiungere più clienti attraverso questi canali. Dell’intero campione di intervistati, ben l’84% non ha mai in precedenza organizzato eventi nei propri punti vendita. Un quadro che ha delineato debolezze e necessità di una Digital Strategy, ma anche nuove risorse, opportunità e grande desiderio di aggiornamento.

La commissione d’esame del Workshop era composta da Riccardo Capitanio, vice presidente nazionale di Federmoda e di Federmoda Veneto, assieme a Michele Trolese, esperto in comunicazione digitale per Iwg Italia, e Tommaso Zanin, co-fondatore di Viamadeinitaly.

I giovani partecipanti hanno potuto così confrontarsi da un lato con le realtà imprenditoriali del territorio, e dall’altro con le istanze organizzative e strategiche a più alto livello, che la Federazione Moda Italia cerca di coordinare in un’ottica di sistema che coinvolge addetti ai lavori, consulenti, tecnici e, come in questo caso, anche studenti. I ragazzi hanno infatti portato nuove idee e punti di vista che saranno di certo un ottimo stimolo per continuare a generare sempre più servizi rivolti ai fashion retailer, a migliorare l’efficacia delle campagne sui nuovi media, nonché a consolidare la dimestichezza con gli strumenti digitali in senso lato.

Intelligenza artificiale e Fashion: 6 trend per il 2023

Intelligenza artificiale e Fashion: 6 trend per il 2023

L’intelligenza artificiale (AI) si sta diffondendo in vari settori, modificando le attività aziendali tramite tecnologie creative, procedure operative più efficaci e accesso a informazioni sui consumatori che, se correttamente sfruttate, possono fornire un potenziale vantaggio competitivo. L’intelligenza artificiale può raccogliere, elaborare e trarre informazioni da tutti i tipi di dati, dalle immagini dei social media alle funzioni corporee come la frequenza cardiaca. Le tecnologie AI possono rivoluzionare il modo in cui le aziende del fashion realizzano i loro articoli per promuoverli e venderli, creando innovazione per l’industria della moda su tutta la linea, inclusi design, produzione, spedizione, marketing e vendite.

Vediamo le applicazioni più promettenti per il prossimo futuro, che saranno in grado di migliorare i modelli di business:

 

  1. PROGETTAZIONE AVANZATA
    L’intelligenza artificiale può supportare e velocizzare la fase di progettazione: da un lato, essa espande la collaborazione tra persone e aggiunge la collaborazione tra uomo e macchina, dall’altro può coadiuvare le scelte di design e, in taluni casi, anche sostituire l’uomo in alcune fasi della progettazione. Man mano che più ricercatori sviluppano nuovi modelli per la creatività, le potenzialità della tecnologia diventano più evidenti. Le applicazioni AI potrebbero diventare molto presto le migliori alleate degli stilisti. Ad esempio, i modelli di intelligenza artificiale che sono stati impiegati per generare un nuovo design di abbigliamento sono detti “reti generative avversarie” (GAN), un tipo di Machine Learning in cui due modelli contraddittori vengono addestrati contemporaneamente: un generatore che crea immagini realistiche e un discriminatore che le distingue e le valuta.
  2. MERCHANDISING VIRTUALE
    Le tecnologie abilitate all’intelligenza artificiale come la realtà aumentata (AR) e la realtà virtuale (VR) stanno cercando di colmare il divario tra le esperienze di acquisto online e in negozio. Le aziende della moda utilizzano la tecnologia AR per fornire nuove funzionalità agli acquisti tradizionali e online. Il consumatore potrà sperimentare stili, trame e colori diversi e scarpe, borse e gioielli diversi per completare il suo aspetto, ed ottenere un’anteprima virtuale. Ad esempio, possono essere richieste agli acquirenti delle foto per far determinare automaticamente le loro misure. L’apprendimento automatico mappa le misurazioni rispetto ai dati archiviati dall’azienda. I dati aiuteranno i produttori a realizzare gli indumenti in base alle taglie che si adattano effettivamente alle persone, coordinare le taglie di diversi tipi di indumenti e determinare il posto migliore per realizzare i loro capi.
  3. RICERCA VISIVA
    La ricerca visiva, similarmente alla ricerca basata su testo, scansiona e riconosce le fotografie inserite dall’utente e fornisce i risultati di ricerca più pertinenti. I clienti possono cercare quello che vogliono senza doverlo descrivere a parole, rendendo l’acquisto online più semplice e gratificante. Inoltre, i rivenditori potranno aiutare i clienti con strumenti di styling virtuali basati sull’intelligenza artificiale che aiutano i clienti a scegliere gli articoli in base al tipo di corporatura, al tono della pelle e alle esigenze di abbigliamento.
  4. INDOSSABILI AVANZATI
    I dispositivi indossabili basati sull’intelligenza artificiale, come le bande fitness che tengono traccia della frequenza cardiaca, del movimento e delle prestazioni, sono già sul mercato. Ma implementata negli indumenti, l’intelligenza artificiale potrebbe portare a tessuti intelligenti, vestiti che tengono traccia delle prestazioni sportive, o reattivi ai parametri fisiologici del corpo. Imparando i movimenti del corpo di chi lo indossa mentre fa attività, l’intelligenza artificiale potrebbe creare aree nell’indumento con diverse caratteristiche fisiche, consentendo prestazioni migliori e maggiore comodità.
  5. SOLUZIONI ANTI-CONTRAFFAZIONE
    L’intelligenza artificiale potrà essere efficacemente usata ad esempio per individuare design non originali utilizzando le informazioni di milioni di fotografie, oppure per autenticare articoli originali e individuare i falsi. Già oggi alcune organizzazioni utilizzano l’intelligenza artificiale per esaminare e identificare prodotti potenzialmente contraffatti, facendo affidamento su enormi set di dati e immagini provenienti da numerosi mercati online.
  6. PERSONALIZZAZIONE DELLA CLIENTELA E PREVISIONE DELLE TENDENZE
    Già oggi sono generalmente disponibili grandi quantità di dati dei clienti, cui accedere per studiarli. Se integrate con i dati aziendali, le tecnologie di deep learning come AI e ML consentono alle aziende di seguire il comportamento di acquisto dei singoli clienti. I professionisti del marketing sfruttano sempre più le conoscenze e le capacità computazionali della tecnologia in crescita per comprendere le aspettative degli acquirenti e influenzare la loro esperienza in base agli acquisti, ai colori preferiti, alle trame e ad altre preferenze di stile. La previsione delle tendenze si concentra sulla proiezione nel futuro delle preferenze: colori, stili, trame, tessuti che potranno suscitare l’interesse dei consumatori. I modelli AI per il fashion generano previsioni di tendenza a partire da immensi set di dati disponibili, che poi stilisti e progettisti utilizzano per disegnare e produrre nuovi capi e accessori per le aziende.